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Articolo inserito in data 27/10/2011 18:56:51
Area di Frasassi
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Traversata GROTTA DEL MEZZOGIORNO-GROTTA DELLA B. VERGINE DI FRASASSI

Traversata grotta del Mezzogiorno-grotta della Beata Vergine di Frasassi (Ancona)

22 ottobre 2011

Sono complesse le sensazioni che sento oggi qui, davanti all'elegante tempietto del Valadier: siamo appena usciti dalla grotta della Beata Vergine di Frasassi terminando tranquillamente la facile traversata che solo 3 ore fa abbiamo iniziato entrando nella grotta del Mezzogiorno e mi sono senza dubbio divertito grazie alla piacevolissima compagnia degli speleo-colleghi di Forlì (Teo e Fabione, preziosi amici e miei compagni in mille avventure, gli inimitabili coniugi Biscotto che non vedevo da alcuni anni, da una pirotecnica visita in una grotta della Vena del Gesso Romagnola in cui l'inimmaginabile successe, e Marco e Andrea, curiosi personaggi dalla simpatia travolgente che mi auguro di poter frequentare ancora), eppure ho la netta impressione che in questo luogo non tornerò più.

Era un giorno di settembre del 1986 quando per la prima volta vidi il santuario e il bellissimo androne naturale in cui sorge... un brutto giorno perché ero momentaneamente "fuggito" dalla casa in cui mio padre, troppo giovane, presto sarebbe morto per la malattia che da qualche mese lo stava consumando.
Girovagavo senza meta con Lori e un paio di amici cercando stimoli che potessero stordirmi, anche solo distrarmi, per qualche attimo, che riuscissero a farmi dimenticare ciò che non capivo, che tuttora non ho capito e non ho accettato.
Vidi due minuscole luci nella grande, buia galleria che giunge in questa incredibile caverna dopo aver attraversato, pensavo, spazi infiniti e misteriosi, e restai affascinato dal loro tremore, dalla loro fragilità; passarono alcuni minuti e nell'oscurità diventarono più nitide due figure, un ragazzo e una ragazza che probabilmente avevano la mia età. Erano vestiti in modo strano, avevano curiosi attrezzi metallici addosso e una matassa di corda sulle spalle.
Li fermai incuriosito e li tempestai di domande... erano speleologi, provenivano da una grotta il cui ingresso si apriva in un altro versante della montagna e sommariamente mi raccontarono cosa avevano incontrato e affrontato all'interno prima di giungere all'uscita, nel punto in cui ci eravamo incontrati.
La settimana successiva, a Forlì, Lori notò il manifesto che pubblicizzava il corso introduttivo dello Speleo Club locale e per lei fu un gioco convincere un semi-disadattato come me che già da tempo si arrampicava ovunque e si infilava in ogni anfratto individuato nei ruderi di rocche e castelli, di ville abbandonate e casolari in rovina, luoghi che abitualmente frequentava, a recarsi alla sede del gruppo: non ci volevano perché avevano già 20 allievi e il corso era iniziato da una decina di giorni... "ruppi i coglioni" ai responsabili in modo tale che finirono per arrendersi e cedere alle mie richieste!
Saltammo però, e non poteva essere altrimenti vista la tragica situazione in casa mia, quasi tutte le lezioni e le uscite in grotta... nella palestra di roccia, a Rio de' Cozzi, mi fecero andare su e giù per scalette e utilizzai una sola volta un discensore... indubbiamente eravamo considerati l'ultima ruota del carro, talmente "sfigati" da essere ignorati per la maggiorparte del tempo, molto poco però, che riuscivamo a dedicare all'attività ipogea.
Giunse l'uscita di fine corso... incredibile: la traversata Mezzogiorno-Frasassi... e due mesi dopo il casuale incontro con i due speleologi marchigiani toccò a noi uscire dalla stessa buia galleria, vedere il tempietto da una prospettiva differente, vestiti in modo strano, con curiosa ferraglia addosso...
Ci iscrivemmo al gruppo e tornammo qui più volte durante altri corsi, con ruoli differenti... degli allievi del 1986 restammo in tre, poi due soli, Lori ed io, quelli che non dovevano esserci...
... ne è passata di acqua sotto i ponti... e nelle grotte...
Qualche anno fa decisi che nulla potevo più dare allo Speleo Club Forlì, e che nulla potevo più ricevere, per cui lasciai senza rimpianti il gruppo e mi dedicai ad escursioni più specifiche e selettive con quelli che già da tempo erano diventati amici, e si confermavano simpaticissimi, fidatissimi complici in mirabolanti incursioni sotterranee in ogni ramo del Corchia, al Fiume, in Preta, in Sardegna, poi in Rana, al Fighiera... sempre per conto nostro, con rilievi in mano, corde, trapani, sacchi a pelo, mazzette, vanghe, secchi sulle spalle, programmi e mete ben precise, rispettati i primi e spesso raggiunte le seconde...

Oggi Teo mi ha convinto a partecipare a questa uscita, quella finale del corso di introduzione da lui diretto per lo Speleo Club Forlì... e così sono ancora qui, davanti al tempietto a provare sensazioni complesse perché sento, per fortuna e purtroppo, che dopo un quarto di secolo un lungo ciclo si è definitivamente chiuso...

La traversata:

considerato che ci si infila in una grotta e si sbuca da un'altra il cui ingresso si apre ad alcuni km di strada di distanza dal primo, è necessario organizzarsi in modo da avere almeno due auto, o da poter contare su un gentile collega che si offra per fornire il supporto logistico esterno all'escursione ipogea.
Provenendo da San Vittore delle Chiuse e oltrepassando l'ingresso delle grotte turistiche si arriva al viadotto che permette di proseguire sul lato opposto della gola scavata dal torrente Sentino; poco dopo c'è la comoda piazzola a destra in cui lasciare uno dei mezzi di trasporto (da qui sale l'evidente viottolo pedonale d'accesso al santuario della Beata Vergine di Frasassi (tempio del Valadier)).
Tornati a San Vittore si prende la strada a sinistra per Pierosara; giunti al paese si curva a sinistra e si parcheggia nello slargo al termine dello stesso.
Quella che interessa a noi è la vicina stradina a sinistra della chiesetta: presto diventa un tranquillo sentiero (porta al Foro degli Occhialoni) che propone blandi saliscendi. Si procede senza fatica per non più di 15 minuti, quindi si lascia la traccia principale per una, evidente e ben battuta, che sale con decisione a destra. Alcuni stretti tornanti precedono l'ampia caverna preistorica alla cui sinistra si trova il basso ingresso della grotta del Mezzogiorno (cancello, in tutto 20 minuti di cammino).

La traversata fino alla grotta della Beata Vergine di Frasassi, pur essendo un itinerario con alcune strettoie e vari salti, non presenta particolari difficoltà; è piacevole, emozionante, di notevole interesse estetico e naturalistico, ne consegue che spesso fa parte del programma dei corsi d'introduzione alla Speleologia.
Se si vuole effettuarla velocemente in doppia occorrono almeno due corde da 40 metri (vi sono catene e anelli per le calate); se invece si ha l'esigenza di armare ogni pozzo ne servono 7 di diverse misure (15-45-50-15-35-40-35 metri).

L'accesso non è libero; per informazioni e richieste di autorizzazioni alle visite:
 
Parco naturale regionale della Gola della Rossa e di Frasassi
Regolamentazione delle attività speleologiche
 
- Aldilà dell'ingresso l'ambiente diventa più ampio, tuttavia presto tende a stringersi e ci troviamo a strisciare in un cunicolo. Superiamo 3 semplici strettoie dall'aspetto inquietante (soprattutto le prime due) e ci rialziamo nei pressi di un salto (a destra) da risalire. Normalmente c'è una corda fissa; se così non fosse, per affrontare l'ostacolo in libera e calare la fune da sopra (R5, corda da 15m con cui approntare anche un corrimano in alto) conviene retrocedere di qualche passo e salire verso un evidente terrazzino (vi si arriva anche partendo da un facile camino inclinato che si nota poco prima, passando poi da una finestrella a sinistra), quindi tagliare in obliquo verso sinistra passando a fianco di una tozza e utile stalagmite, sbucando così in un condotto a quota superiore, a qualche metro dall'attacco da utilizzare per l'armo.

- Per attrezzare il lungo scivolo che immediatamente segue, utilizziamo una corda da 45 metri (attacco naturale) che colleghiamo a quella da 50 necessaria per il bel pozzo successivo (P38); le due calate sono separate solo da un brevissimo tratto orizzontale.

- Atterriamo in una galleria ricca di concrezioni e la seguiamo verso sinistra (guardando la parete dalla quale siamo scesi). Un blando saliscendi fra scenografiche stalagmiti e colonne ci porta nell'ampia sala Azzurra, caratterizzata dalla base ingombra di massi di crollo e dalla presenza di un gradino (P6) da superare con una corda da 15 metri. Subito dopo quest'ultimo, un piccolo dosso nasconde il minuscolo ingresso del pozzo Elicoidale (P18), che attrezziamo con una corda da 35 metri, cioè di lunghezza utile per assicurare in basso il traverso che ci porterà verso una grande finestra; più o meno a metà della sua altezza questo contorto pozzo si biforca: il condotto giusto è quello in cui notiamo (è molto evidente) l'ancoraggio per il frazionamento.

- Dalla finestra ci affacciamo su un ampio P25 (corda da 40 metri); un terrazzo formato in parte da un immenso masso interrompe la calata costringendoci ad uno spostamento laterale prima di poterla riprendere. Arriviamo in una sala su massi e detriti, poi, per accedere alla successiva, ci infiliamo in una curiosa fessura che qualche anno fa, prima di essere opportunamente allargata per riuscire a soccorrere e trasportare uno speleologo infortunato, aveva una forma tale da stuzzicare le fantasie erotiche  dei colleghi più sensibili all'argomento... probabilmente in seguito alle lunghe astinenze alle quali erano per vari motivi condannati...

- Occorre ora risalire lo scivolo a sinistra (corda fissa), ma conviene dedicare qualche minuto alle belle concrezioni che impreziosiscono l'angolo opposto della camera.
L'ultimo salto della traverata (P23, corda da 35 metri) si trova aldilà del parapetto naturale che limita il terrazzino in cui giungiamo al termine della risalita.

- Per uscire resta solo da percorrere la vasta galleria della grotta della Beata Vergine di Frasassi, cercando di evitare le deviazioni che le danno l'aspetto di un labirinto (frecce dipinte per facilitare l'orientamento), di non scivolare sul guano che rende viscide le rocce nei ripidi saliscendi e soprattutto di non disturbare i numerosissimi pipistrelli che la abitano, riproducendosi e andandovi in letargo nei mesi invernali.
Da segnalare la presenza di spettacolari "pelli di leopardo" sulle pareti, pittoresche formazioni di notevole effetto estetico composte principalmente da colonie di solfobatteri e materiale argilloso.

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