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Articolo inserito in data 24/02/2009 21:06:19
Grotte in Sardegna
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POZZO YORIK e POZZO DELLE CRESTE - 22 maggio 2005

Il raduno nazionale di Speleologia "Icnussa 2009" porterà a fine aprile molte persone in cerca d'avventura a Urzulei (Og). Approfitto dell'occasione per pubblicare nuovamente le relazioni riguardanti alcune escursioni compiute da me fra il 2005 e il 2008 nello splendido territorio carsico a nord del paese.

Il pozzo Yorik, il pozzo delle Creste e altre grotte lungo la cresta sud del monte su Nercone (Urzulei - Ogliastra)

22/05/2005

Qualche giorno prima avevo percorso interamente le belle creste rocciose che caratterizzano il monte su Nercone e almeno un paio di volte avevo rischiato di precipitare in pozzi che improvvisamente mi erano apparsi davanti lungo il cammino.
Uno in particolare mi aveva impressionato per l'ampiezza dell'ingresso, un paio di metri di diametro, e la notevole profondità, valutata (sasso e contasecondi...) attorno ai 30 metri.

Ero lì solo per camminare, toccare qualche cima e raggiungere uno spettacolare belvedere sulla gola di su Gorropu, ma una micidiale speleo-curiosità e la presenza di simili voragini mi avevano portato ad aumentare l'attenzione; pur mantenendomi sull'itinerario programmato senza alcuna deviazione, alla fine della giornata avevo individuato una decina di buchi più o meno interessanti.
Passi successivi: contattare Gianfranco dello Speleo Club Oliena per ottenere qualche consiglio e un paio di carte dettagliate, consultare poi il catasto delle grotte sarde cercando di dare un significato ai dati che avevo ricavato e attendere infine l'arrivo di Gian Luca "Dentino" per catapultarsi là sopra con corde, moschi e spit.

Ed ecco finalmente giunto il momento: un ultimo controllo al contenuto dei sacchi e partiamo. Una mezz'oretta e siamo alla genna Croce, quindi al planu Campu Oddeu; passiamo oltre e ci fermiamo nel punto che avevo in precedenza individuato dall'alto, proprio sotto la scala Ortorani: 200 metri di dislivello e saremmo stati sulla cresta, a qualche minuto dal primo pozzetto.
Ci accoglie un branco di ispidi maialotti; sono simpatici e hanno uno sguardo particolarmente sveglio... forse troppo, come il loro appetito, e conviene tenerli a distanza (non sono cattivi, ma mordono tutto ciò che reputano commestibile, esseri umani compresi!).

Il primo buco ha l'aspetto di un crepaccio e si trova più o meno a quota 1170, a sud della cima posta fra la scala Dorghivè e la scala Ortorani. Risulterà profondo 4 metri, lungo 2 e largo mediamente 1, con la base interamente ricoperta di detriti. Da notare la totale mancanza di tracce di passaggio.
Appena a nord della stessa cima, a quota 1200, ci imbattiamo nella seconda grotticella: ha un curioso ingresso caratterizzato dalla presenza di un'evidente clessidra che lo divide in due oblò (una terza apertura è poco sopra, verso la linea di cresta), e altrettanto evidente è il marchietto di vernice rossa che lo segnala come conosciuto.
Un metro sotto si vedono bene la base rocciosa e il pietrisco che probabilmente la rende sdrucciolevole: in pratica è un cunicolo inclinato che cala verso ovest; sistemo una corda e scendo. Pochi metri, un saltino e un tappo di detriti. Interessante il fatto che le pareti del pozzetto siano ricoperte da quella che pare essere una sottile colata... forse meriterebbe maggiore attenzione la chiusura detritica, ma non è un lavoro nostro, poi qui è pieno di zanzare, siamo solo in due e so che fuori mi aspetta qualcosa di ben più eccitante.

Dieci secondi di blando cammino e siamo di fronte a un pittoresco albero secco; alla sua base, nascosto da un grosso ramo (un probabile mediocre tentativo di limitarne la pericolosità) il piccolo imbocco di un pozzo del quale non riusciamo a vedere il fondo. Si nota bene che giù l'ambiente diventa più largo, che potrebbe avere la forma di una bottiglia, e che qualche speleologo lo conosce... maledizione, ancora un segnetto di vernice rossa!
Nessun problema, non siamo qui per scoprire grotte, ma solo per trovare il modo di entrare in quelle che casualmente si aprono sotto i nostri piedi; lego la corda al grande albero e scendo.
Questa è realmente una grotta, piccola magari, ma significativa. Il salto misura una dozzina di metri e la base, interamente formata da detriti, è piuttosto ampia, ha una forma vagamente ellittica e una larghezza massima di 7/8 metri. In alto vedo filtrare un raggio di luce; seguendo le mie indicazioni "Dentino" individua un pertugio a due passi dall'ingresso principale, poi mi raggiunge; nel frattempo risalgo uno stretto camino che dopo 4/5 metri diventa impercorribile. Ci guardiamo attorno abbastanza soddisfatti, e piuttosto confusi, incuriositi, in quanto non riusciamo a trovare spiegazioni per la formazione di un ambiente di questo tipo: siamo su una cresta rocciosa, nel punto più alto, non c'è alcuna traccia di dolina o di qualcosa che indichi lo scorrimento di un liquido, nè sopra nè sotto, eppure è un bel bucanone in cui il crollo ha influito come nelle normali grotte carsiche, quindi è stata proprio l'acqua a crearlo... forse il segreto sta nell'età, forse è bastata l'umidità per scavare piano piano, con lentezza esasperante, forse ha contribuito l'acqua piovana a mantenerla, ristabilendola immancabilmente ad ogni temporale, ed è stato necessario un numero esagerato di milioni di anni, disponibili quassù dove nulla poteva disturbare, non la terra, la ghiaia, l'argilla che da noi tappa tutto, non l'uomo, dove il tempo si misura con parametri diversi, è dilatato per consentire a queste pietre di diventare le più antiche d'Europa.
Usciamo.

L'alberaccio secco sarà ancora utile: bastano infatti pochi passi e siamo sull'orlo di un'impressionante voragine, quella per cui avevo deciso di tornare su queste creste: ha un'imboccatura circolare di un paio di metri di diametro scavata in una roccia dall'aspetto abbastanza compatto, quasi l'avesse prodotta una grande trivella, ed è profonda, forse 25, o 30 metri.
La voglia di scendere è grande, ma lo è anche il pozzo che ho davanti: decidiamo di piantare due spit e fare un buon armo principale... nel dubbio leghiamo il capo della corda anche al grosso tronco.
Monto il discensore e vado. La sensazione è strana, probabilmente per la forma dell'ingresso. Mi sono calato in baratri che rasentano i 200 metri d'altezza, in verticali incredibili come il 130 della Preta, eppure questo m'inquieta, forse perchè là sapevo cosa m'aspettava, forse perchè qui mi pare d'essere nella bocca di un vulcano, in quella dell'inferno.

Sono in fondo.
Ancora un base di detriti, ancora uno stretto camino parallelo. Grido il "libera!" e mi riparo in un cunicolo discendente; m'accorgo che dopo una curva secca prosegue... in realtà per poco, diventa basso, fratturato, e mostra evidenti tracce di tentativi di disostruzione. Retrocedo e raggiungo "Dentino" che intanto sta cercando di fotografare l'oblò azzurro che si trova almeno 25 metri sopra le nostre teste; ha appoggiato la macchina su un masso enorme che non troppo tempo prima doveva essere incastrato a una qualche altezza in parete. Guardando attorno e su non riconosco possibili punti di distacco, ma noto che il pozzo ha una forma tronco-conica a base ellittica, il chè mi convince che la nostra teoria sulla formazione di simili spazi vuoti non è poi così campata in aria.
Un'ultima foto al geotritone padrone di casa e torniamo in superficie.
Dopo una rapida occhiata alle carte e agli appunti che mi sono portato dietro, e un raffronto con i dati che approssimativamente ho ricavato, concludo che la possibilità di aver appena "esplorato" il pozzo Yorik, profondo 31 metri e con uno sviluppo di 38, è molto elevata.

Il tempo vola; ne occupiamo una piccola parte mangiando un panino e chiacchierando con alcuni escursionisti che provengono dalla genna Silana: ci guardano incuriositi, ci riprendono con apparecchiature di diverso tipo (come noi col geotritone!!), la loro guida ci chiede notizie sul bucaccio nero dal quale siamo appena riemersi, poi ci salutano e borbottando proseguono verso sud.
Raccogliamo le nostre carabattole e raggiungiamo rapidamente la scala Dorghivè; poco sopra avevo visto uno stretto pertugio e ora provo a rintracciarlo. "Dentino" sale lungo la linea di cresta e io rimango 20/30 metri più giù. Dai miei appunti ricavo che devo riferirmi a un bel leccio dalla caratteristica forma a "fionda", a un cespugliotto tipo rosmarino che nasconde in parte l'ingresso, e che devo mantenermi a quota 1175.

Contemporaneamente ognuno di noi attira l'attenzione dell'altro: è incredibile, è stato sufficiente guardarsi attorno e di grotticelle ne abbiamo individuate due, in cinque minuti di cammino, quella che cercavo e quella che risulterà essere il pozzo delle Creste.
Questi monti, questi valloni, questi pianori hanno buchi ovunque e sono convinto che non si finirà mai di trovarne di nuovi, anche perchè la superficie è immensa, in pratica il calcare è ininterrotto fino ad Oliena, a Dorgali, al mare, ha uno spessore di almeno mille metri, e il terreno è selvaggio, difficile da percorrere, da battere con continuità, mancano i punti di riferimento, spesso anche quelli d'appoggio, le strade, i sentieri, e le carte sono imprecise, e a destra, a sinistra, davanti, dietro, a perdita d'occhio vedo solo rocce carsiche e neppure un torrentello, un rigagnolo... l'acqua, tantissima, è tutta sotto.

Partiamo dal mio, che pare un crepaccio molto simile a quello già visitato a inizio giornata; e in effetti come il precedente chiude subito: è profondo 4 metri, ha una base detritica lunga 2 e larga al massimo meno di 1, e una forma a tronco di cono piuttosto schiacciato.
Risulta evidente che la maggior parte di questi spazi si differenzia solo per l'altezza e la tendenza a passare da una base, e sezione del salto, ellittica (i più piccoli) a una quasi circolare, si sviluppa prevalentemente in verticale e si allarga con regolarità andando verso il basso. Mi piacerebbe poter concludere che tutti hanno origine comune e semplicemente un tempo di sviluppo differente, ma è solo l'idea fantasiosa di un dilettante che già domani mattina, arrampicando in spiaggia a Cala Gonone, si sarà dimenticato delle congetture fatte appena 20 ore prima.

Resta il pozzo delle Creste; il tempo è poco, siamo quasi... già in ritardo e le donne potrebbero non perdonarci un'attesa troppo lunga in campeggio, per cui decidiamo di evitare di piantare spit. Alberi attorno non ve ne sono e optiamo per legare il capo della corda a un masso lontano, quello più grande e dall'aspetto più stabile. In realtà qualche dubbio sull'armo resta e preferisco non entrare fino a quando "Dentino" non è nuovamente all'esterno: rimanere entrambi bloccati là dentro, 10 metri sotto terra, in un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini potrebbe anche significare finire tra 10000 anni esposti in un museo con la targhetta "i parenti sardi dell'uomo di Similaun"!
La grotticella è bella; assomiglia a quella ai piedi del grande albero secco, ma ha una base nettamente più piccola. Anche in questa è presente uno stretto camino laterale che però più in alto torna ad aprirsi sul pozzo principale. Le pareti sono in parte ricoperte da sottili colate piuttosto brillanti.
Faccio qualche foto, un disegnuzzo e scappo.
Tornando verso l'auto parliamo degli altri buchi che durante l'escursione di una settimana prima avevo individuato: il loro aspetto esterno è praticamente uguale a quello di questi appena visitati, ma in ogni caso meritano attenzione, specie i due che si trovano a nord del monte su Nercone, a una decina di minuti di cammino dalla cima. Purtroppo il mio anticipato rientro a casa impedirà una seconda battuta in zona.

Non so quando, ma conto di ripassare di là, magari il prossimo anno, perchè il luogo mi ha stimolato enormemente, perchè sento ancora oggi, mentre scrivo, il brivido lungo la schiena che ho provato staccandomi dall'orlo del pozzo più alto, perchè la voragine Dorghivè (-180) era vicina e non l'ho trovata, perchè la nurra de su Neulaccoro (-180), un piccolo gioiello naturale, era a 15 minuti da me e non ho avuto il tempo, la forza, la voglia di raggiungerla, perchè il pozzo Yorik è diventato tale solo quando ho potuto misurarlo calandomici, perchè lassù c'è un pezzetto di splendida Sardegna misteriosa che può regalare a chi sappia apprezzarle infinite, preziose avventure.

Alcune foto sono di Gian Luca "Dentino", dello Speleo Club Forlì

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