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Articolo inserito in data 20/04/2009 21:42:48
I miei racconti
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GIANLUCA CARBONI - "L'amico"

Questo racconto è pubblicato in Alpinia.net - Cose di montagna. Puoi leggerlo, stamparlo, ignorarlo o consigliarlo a un amico, ma ricorda che "tutti i diritti sul testo sono riservati".

L'amico

Restiamo seduti su questa pietra che ha una superficie liscia e fredda. Io abbraccio le mie gambe piegate e le stringo al petto osservando una cresta affilatissima aldilà della valle; cerco calore, mi sto riposando e non parlo. Tu sei perfettamente a tuo agio, nel tuo ambiente, mi comunichi sensazioni positive con la sola tua presenza; sei forte e io sono qui perché tu esisti e mi sopporti.
Siamo saliti fin quassù; non è stato difficile farlo tranne in un terribile passaggio che ho male interpretato, ma faticoso sì. Volevo toccare questa cima perché l'avevo vista da quella che ora mi pare un basso picco insignificante, lì sotto, verso sud: "riesci a scorgerlo? Si nota appena..." annientato dalla parete rocciosa che gli fa da sfondo.
Sembrava inviolabile, e per me lo sarebbe stata se non mi avessi aiutato tu, tu che da quando ti conosco mai hai ceduto, mai hai mostrato timore, tu che credo potresti mai fermarti, che ti sei arreso solamente di fronte alla mia inadeguatezza. Ma oggi sono riuscito a superare tutti i momenti di crisi spiandoti mentre guardavi tranquillo e paziente la parte alta del canalone che avevo scelto forse azzardando, insensibile alle migliaia di metri percorsi in salita, al vento debole, ma gelido, che invece seccava le mie labbra, al sole senza calore che invece bruciava il mio volto; io respiravo con affanno appoggiato a una roccia, leggermente piegato in avanti nel tentativo di recuperare un po' di convinzione, di placare il dolore alla schiena, ai fianchi, alle gambe, di riempire i polmoni, sudando, ma ti studiavo provando a carpire parte della tua inesauribile energia, ammirando la tua preparazione, la determinazione, la posa statuaria ed elegante che riuscivi a mantenere in un luogo tanto scosceso, e così facendo più volte ho reagito, come tu già sapevi che avrei fatto, tanto da riprendere la scalata e finalmente uscire sulla cresta a pochi metri dalla vetta.
Quante ore passate temendo di dover rinunciare per il tempo, per la presenza di un passaggio troppo difficile da affrontare senza corda, per la fatica che scavava crepacci nei miei muscoli e nella mente  fessure dove minuscoli dubbi potevano fermarsi, trovare un pertugio adatto a mettere radici e in fretta crescere. E quanta delusione, quasi rassegnazione, mentre i polmoni non riuscivano a darmi sollievo e lo zaino si gonfiava di nulla trasformandosi in un macigno che voleva spezzarmi la schiena. Poi, però, alzavo gli occhi e il tuo esistere fino a un attimo prima ignorato riusciva a rendere d'acciaio i miei tendini, di granito la mia volontà, e la cima sulla quale il mio sguardo andava a posarsi diventava il nemico che avrei combattuto pur consapevole che avrebbe potuto usare la naturale brutalità di cui è capace per spazzarmi via. Certo, poteva con facilità annientarmi, preoccuparsi di me come il deserto di un disperso, ma ugualmente mai più avrei pensato di arrendermi ad esso, così ripartivo forte quasi come te.

Neppure tu parli, ma io so cosa pensi mentre ti nutri della poca aria che abbiamo attorno e con l'indice della mano sinistra disegni il profilo dei giganti di pietra che abbiamo di fronte, percorri e memorizzi le creste che li uniscono, registri pilastri e canali. So cosa sogni, prezioso amico mio, perché se mai potrò essere fisicamente al tuo pari, nella tua mente riesco invece a viaggiare come se fossi nella mia: stai ora volando su quelle vette ringraziandole di esistere, ti stai librando lasciando a terra le creature che vi sono ancorate, ma nella tua unicità sei felice di esserne in realtà capace solo con l'immaginazione  perché lassù vuoi arrivare sudando a piedi con me, prossimamente, rischiando di non riuscire nell'intento, di fallire a causa mia, vuoi come sempre attendermi paziente perché in fondo tu, poderoso amico mio, sai che senza l'umana debolezza che rappresento non ha significato la tua divina perfezione.

- "Ricordi quel passaggio dove temevo di cadere, dove mi è sembrato di essere vicinissimo alla fine... Dio mio, che paura ho provato nel rendermi conto che mi sarei potuto reggere solo per qualche attimo...", poi mi hai indicato la presa giusta mentre sulla cengia mi stavi osservando apparentemente insensibile alla mia sofferenza.
- "Ho sbagliato...", ho pianto perché dovevo scaricare la tensione, perché ho capito che è più facile morire che vivere, perché mi vergognavo di un tale stupido errore. Però ho lottato.
- "Eppure sono convinto che mi avresti sostenuto, che mi avresti salvato...", sarei precipitato per almeno cento metri e tu saresti scomparso veloce come il mio pensiero, insieme ad esso. Forse avresti fatto in tempo a vedermi volare lontano, avresti ascoltato il mio urlo di terrore... forse ti saresti trasformato nel mio urlo di terrore.

Posso contare ancora su molte ore di luce, ma il sole comincia a tingere di rosso alcune pareti, le ombre mi paiono più accentuate e il riverbero sulle superfici ghiacciate meno graffiante, per cui decido di tornare. Tu sei già in piedi: intuisci le mie intenzioni come io le tue, ma immancabilmente mi precedi perché in te il collegamento pensiero-reazione è istantaneo.
Mi aspetta la parte meno interessante dell'escursione, la più pericolosa: la vetta è conquistata, la tensione naturalmente cala e con essa l'attenzione, i muscoli non garantiscono più la capacità di sostenermi in ogni occasione e potrebbero tradire sorprendendomi, impazienza e stanchezza diventano nemici infidi che si nascondono ovunque, che spariscono se li cerco per prendere man mano consistenza appollaiati sulle mie spalle, annidati nel mio stomaco, impalpabili, ma reali, seducenti e velenosi. Seguo i tuoi passi sicuri come un bimbo quelli del padre in un luogo oscuro e come lui mi sento tranquillo avendo la certezza che la mia guida mai potrà sbagliare, mi proteggerà dagli incantatori maligni soprattutto ora che mascherati e alimentati dalla spossatezza si preparano a combattere la mia volontà.

Non hai tentennamenti nello scegliere il canalone giusto, eppure sei consapevole che è l'unico che può permetterci di scendere limitando i rischi, che negli altri finiremmo su orli di baratri impossibili da superare. Scruti i macigni che ne ingombrano il fondo, evidentemente distingui particolari notati in precedenza, e mi pare il profilo del pilastro che si innalza lì a destra: è scura la sua roccia, ripidissima, e disegna nel blu cupo del cielo una forma bizzarra, un naso lungo e sottile, e un collo elegante più lungo ancora, e quella cengia labbra esotiche. Mi rendo conto che anch'io avrei potuto riconoscere il percorso grazie a questo immenso busto scolpito da un ciclopico ammiratore di Modigliani, ma la mia effimera capacità svanirebbe come brina al sole  se non potessi contare sulla conferma di chi mi precede. Ben diverso è guidarla una scalata, ben diverso è avere una responsabilità così grande e gestirla con equilibrio, ben diverso è dover decidere e riuscire ugualmente a valutare e ad accettare il consiglio di una persona meno esperta che però in quel caso, uno su cento, potrebbe aver ragione,  potrebbe salvare la tua e la sua vita. C'è stato un giorno in cui anche tu, alpinista perfetto, hai seguito ubbidiente le direttive di un infallibile insegnante che solo si arrendeva alla tua inadeguatezza? C'è stato un giorno in cui tu, imbranato più di me, gli hai arrancato dietro temendo di veder svanire la sua disponibilità, e la sua presenza subito dopo?
Sorridi, mi sono accorto che stai sorridendo, poi balzi su un piccolo sperone sicuro e potente come uno stambecco, e di nuovo a terra su pietruzze instabili che pur muovendosi sotto i tuoi scarponi non possono intaccare l'eleganza dei tuoi gesti, mentre io appoggio le mani sulla roccia, mi isso impacciato e ti raggiungo calandomi aldilà della punta con la grazia di un orso, lento perché pesante, tremante e indeciso a ogni vibrazione del più insignificante dei ciottoli. Mi siedo, striscio per qualche metro impaurito dalla pendenza, mi fermo ancora, mi reggo disperato cercando nutrimento nella mente per i muscoli delle mie gambe... inaspettatamente lo trovo, mi rialzo deciso, ruvido e feroce come un lupo al quale è preclusa ogni via di fuga, pronto a colpire l'immaginario rivale che mi schernisce e vuole prostrato... come è difficile per me questo ritorno lungo il quale tu sembri giocare con l'ambiente selvaggio che non temi, sempre rispettoso tuttavia, sempre tranquillo nell'attendermi, così profondo nel guardarmi, capace pure di comprendere la mia sofferenza.
Supero facilmente il passaggio che all'andata aveva frantumato le mie certezze e mi concedo un attimo di presunzione considerandolo elementare ora che l'ho vinto, e fingo di non sapere che la mia momentanea baldanza non nasce da fiducia acquisita nell'affrontarlo, ma solo dalla consapevolezza che mai più sarò costretto a farlo. Non sono però un vile, se no sarei altrove; semplicemente sono umano e in questo momento drammatico mostro le qualità meno nobili dell'uomo. Quelle ammirevoli le studio in te che riesci ad affrontare le situazione che ti propongo (neppure ti sei accorto di quel gradino infido, ma io che ne ero terrorizzato ho copiato i tuoi movimenti e sono riuscito a ripeterli col respiro mozzato dal brutale ricordo) con una modestia che risulta per me quasi imbarazzante, tanto che mi riporta alla mia giusta dimensione tarpandomi ali che non ho e insegnandomi come in futuro farle crescere reali.
Credo di essere innamorato di te, incredibile amico mio.

Sono alla base del canalone, quasi arrivato alla radura nel rado boschetto di giovani conifere dove prima dell'alba ho lasciato l'auto; resta una mezz'ora di cammino sul sentiero a fianco del torrente che scorre ignorandomi  e oggi rende magica questa valle alpina. Il sole è calato e sta provando a nascondersi dietro a una cresta che picchi aguzzi vogliono nervosa: da qui pare un muro poderoso, ma dalla cima che ho alle spalle neppure la scorgevo.
Sei rimasto indietro, hai rallentato il passo come sempre fai quando ci avviciniamo al mondo degli "altri", quello delle strade pericolose, del coltello che fuori da un pub sibila nella notte neppure sai perché, della pistola che spara a uno studente, di odio e disprezzo che si incarnano e violentano una donna, della spranga che colpisce un ragazzo coi capelli lunghi, lo stesso mondo per gli abitanti del quale le montagne sono soprattutto fastidiose imperfezioni da spianare, traforare, brutalizzare.
Ora sei fermo e mi osservi mentre mi allontano; penso che vorrei portarti con me, capisco che farei un errore terribile perché la tua grandezza verrebbe banalizzata laggiù dove abitualmente vivo. Non riesco ad andarmene: mi volto, alzo un braccio per chiamarti, provo a trattenerti, ma la mano resta inutilmente aperta vicino al viso... se qualcuno fosse presente potrebbe pensare che il mio è un saluto e non si accorgerebbe che in realtà è una disperata richiesta di comprensione. La malinconia mi serra la gola.
Tu ricambi il mio gesto, poi si attenuano i tuoi contorni e l'ultima cosa che riesco a riconoscere è la determinazione del tuo sguardo stranamente velato di dolcezza. Ho capito, ho capito che hai rinnovato la promessa, che cercherai di tornare, mi troverai, ho capito che riusciremo a incontrarci ancora se non cambierò... non preoccuparti, splendido amico mio, anch'io ho memorizzato le vette che oggi lassù indicavi e finché lo vorrai sarò il compagno che aiuterai e ti permetterà di scalarle.

Gianluca Carboni

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